Passeggiate fiscianesi
di DIEGO LANDI
Estratto da "LA RINASCITA DELLA VALLE" Anno II - N° 7 - Luglio 1994
La mole squadrata del Convento, di un bel colore rosato, si staglia sull'azzurro del cielo e sul verde dei monti che la coronano. Da un lato la chiesa semplice e austera, all'intemo il chiostro dalle forme regolari e solenni sul quale si affaccia il loggiato dalle bianche arcate che dà accesso alle umili celle. Gli affreschi del Ricciardi commentano con genuina vena poetica i momenti salienti della vita religiosa che per oltre tre secoli si è svolta in queste mura.
E' questo di Santa Maria del Monte l'unico convento dei Cappuccini esistente nella Valle dell'lrno. Costituivano costoro la terza famiglia religiosa del primo ordine francescano, sorta nel 1525 per iniziativa di Matteo da Bascio con l'intento di recuperare la più autentica tradizione del francescanesimo e di inserirla nel clima di riforma religiosa allora assai vivo.
Già nel 1540, ad opera dei Cappuccini della provincia di Basilicata e Salerno, furono iniziate le pratiche per la realizzazione dell'opera: un certo Nunziante Faraldo acquistò da diversi proprietari il terreno per 27 ducati, ma i lavori non poterono iniziare a causa di una vertenza sorta immediatamente tra la provincia di Basilicata e quella di Napoli: entrambe, infatti, accampavano diritti sui conventi del Salernitano. La questione fu risolta dal capitolo generale riunitosi a Roma nel 1568 che decise di dividere la zona contesa, assegnando ai Cappuccini di Napoli il convento di Cava e il nostro, e lasciando gli altri, tra cui Salemo, Castiglione e Montecorvino, alla Basilicata.
Così, in breve tempo, col contributo finanziario di diversi devoti, fu eretto quello che sarebbe diventato un centro fiorente di fede, di apostolato, di cultura e di arte. Nell'inchiesta sullo stato dei conventi dei Cappuccini. nel 1650, si legge. tra l'altro: "Il convento intitolato Santa Maria de' Monti sta situato in un montetto distante dal casale della Penta cento passi incirca, e dal casale di Fisciano da trenta passi incirca; non possiede entrate perpetue né temporali, né altra proprietà di beni stabili. V'abitano di famiglia sette sacerdoti, due chierici, quattro laici professi, si sostentano d'elemosine somministrate dalla pietà di popoli e casali circonvicini. Non tiene hospitii, non ha alcuno peso di messe o di anniversari perpetui o temporali, non ha debiti di alcuna sorte".
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Dall' alto del" montetto" tutto ricoperto da ulivi, il convento offre la sua immagine suggestiva e severa a gran parte della valle e si avanza, come vertice di un triangolo, all' estremità di un'area di alto valore paesaggistico e storico. La base della figura è rappresentata dalla strada panoramica che unisce Fisciano a Gaiano e gli altri due angoli dall'Isolella e dai ruderi di San Sossio.
E' l'Isolella il cuore antico della frazione capoluogo. Vi si conservano tracce straordinarie di tecniche costruttive che risalgono sicuramente a secoli assai lontani: archi di sostegno che si susseguono a reggere le abitazioni, solai in legno, pilastri in pietra incassati nelle mura, formano una tipologia edilizia che meriterebbe di essere studiata da qualche esperto. Più in là le case dei "signori" mostrano portali ornamentali, stemmi gentilizi. affreschi, proporzionati cortili su cui guardano facciate rese superbe da loggiati con archi sovrapposti. All' altra estremità del rione il monastero delle Carmelitane continua, ormai da oltre tre secoli, la sua vocazione di preghiera e di silenzio.
I ruderi di San Sossio, invece, rappresentano forse quanto resta del più antico centro religioso della nostra zona. Lo fanno pensare le dimensioni ridotte della chiesa e la pietra locale usata per la costruzione, mentre alcuni avanzi di mura esterne e l'invaso di una cisterna suggeriscono la presenza sul luogo di un insediamento monastico. Non è azzardato pensare che sia anteriore all’anno mille, dal momento che il culto di San Sossio, diacono della chiesa di Miseno e compagno nel martirio a San Gennaro, varcò ben presto i confini di Napoli dove nel 904 le reliquie del santo erano state traslate per essere venerate insieme a quelle di san Severino. A diffondere la fama dei due martiri fu decisiva l'opera di Giovanni diacono, storico fondamentale della Chiesa altomedievale napoletana vissuto tra nono e decimo secolo, e autore di una Traslatio sancti Sossii e di una Traslatio sancti Severini. E' solo un caso se questi due santi sono stati venerati entrambi, in epoche ormai lontane, anche nel nostro circondario?
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E' l'Isolella il cuore antico della frazione capoluogo. Vi si conservano tracce straordinarie di tecniche costruttive che risalgono sicuramente a secoli assai lontani: archi di sostegno che si susseguono a reggere le abitazioni, solai in legno, pilastri in pietra incassati nelle mura, formano una tipologia edilizia che meriterebbe di essere studiata da qualche esperto. Più in là le case dei "signori" mostrano portali ornamentali, stemmi gentilizi. affreschi, proporzionati cortili su cui guardano facciate rese superbe da loggiati con archi sovrapposti. All' altra estremità del rione il monastero delle Carmelitane continua, ormai da oltre tre secoli, la sua vocazione di preghiera e di silenzio.
I ruderi di San Sossio, invece, rappresentano forse quanto resta del più antico centro religioso della nostra zona. Lo fanno pensare le dimensioni ridotte della chiesa e la pietra locale usata per la costruzione, mentre alcuni avanzi di mura esterne e l'invaso di una cisterna suggeriscono la presenza sul luogo di un insediamento monastico. Non è azzardato pensare che sia anteriore all’anno mille, dal momento che il culto di San Sossio, diacono della chiesa di Miseno e compagno nel martirio a San Gennaro, varcò ben presto i confini di Napoli dove nel 904 le reliquie del santo erano state traslate per essere venerate insieme a quelle di san Severino. A diffondere la fama dei due martiri fu decisiva l'opera di Giovanni diacono, storico fondamentale della Chiesa altomedievale napoletana vissuto tra nono e decimo secolo, e autore di una Traslatio sancti Sossii e di una Traslatio sancti Severini. E' solo un caso se questi due santi sono stati venerati entrambi, in epoche ormai lontane, anche nel nostro circondario?
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E ora, perché quest'articolo non appaia incompleto e anche un po' bugiardo, qualche amara riflessione sul presente. Troppo grande è il divario tra i valori che il passato ci affida e il degrado a cui li condanna l'operato di uomini "a mal più ch'a bene usi". Ecco qualche esempio. All'Isolella, quattordici anni dopo il terremoto, la ricostruzione o non c'è stata o ha fatto più danni del sisma, come quando ha sostituito gli archi di un palazzo con orrendi finestroni in alluminio anodizzato. Per il convento il piano di recupero previde opportunamente un intervento di restauro e risanamento e una destinazione d'uso a centro polifunzionale di attrezzature a scala territoriale. Ma questo dovette sembrare davvero troppo e così in un consiglio comunale di qualche anno fa fu proposta di soppiatto una modifica del piano per permettere una allegra ristrutturazione e consentirne la trasformazione in albergo. L'irresponsabile proposito non andò in porto solo perchè qualche consigliere volle vederci più chiaro e, svanita così la possibilità di una approvazione unanime - sempre auspicabile per simili pateracchi -, la proposta fu ritirata. Nel frattempo anche gli affreschi del Ricciardi sono andati in rovina, ma ciò non turba il sonno di nessuno dal momento che il patrimonio pittorico di Fisciano (che è notevolissimo e va da Andrea Sabatini allo Scacco, al Solimene, allo stesso Ricciardi) è per il 90% o non fruibile o trasferito altrove. Pro Loco, se ci sei batti un colpo. E San Sossio? E' quasi sepolto da alti cumuli di detriti edilizi. Speriamo che venga un giorno in cui non ai tesori di Fisciano ma all'in-cultura dei suoi dis-amministratori sia comminata la damnatio memoriae.
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