20 ottobre 2005

Palazzo Barra. Una storia inedita

Riporto oggi un mio articolo pubblicato nel 1994 sul periodico "La Rinascita della Valle". Riguarda la storia di palazzo Barra in Lancusi, ritornato d'attualità coi lavori di recupero a cura dell'Università che dovrebbero iniziare a breve. Il disegno a fianco riprodotto è di Giovanni Sica.

Palazzo Barra: Una storia inedita

Estratto da: "LA RINASCITA DELLA VALLE" Anno II – N° 5 - Maggio 1994

E' noto a tutti - autorevoli studi lo hanno documentato - che il pa­lazzo Barra, ubicato al centro di Lancusi, fu sede di una importan­te fabbrica d'armi dipendente dal Ministro della Guerra borbonico e attiva nella prima metà del secolo scorso. Non di questo allora occorre parlare, ma di una storia più antica, la quale, benchè tuttora sco­nosciuta, riposa in vecchi libri in­gialliti e in polverosi documenti cartacei, in attesa paziente che qualche laureando, incoraggiato magari dall'Università e dall'ente locale, la riporti in vita, dandole spessore scientifico e facendola di­ventare patrimonio di tutti. Nel frattempo, rileggiamone insieme qualche frammento
Nel dizionario geografico del Giustiniani (1806) troviamo due informazioni interessanti dalle quali possiamo partire: 1) Il casale di Lancusi, pur essendo unito allo Stato di San Severino, formava una baronia separata, vale a dire un feudo a sé stante; 2) In detto casale era nato Giovanni Caracciolo, pa­dre dell' allora principe di Avellino. Si può concludere che i Caracciolo erano feudatari "an­che" di Lancusi? Procediamo con ulteriori riscontri. Nella Storia di Avellino dello Scandone leggia­mo: "Il principe Giovanni, secondogenito, nacque a Lancusi il 4 sett. 1741. Pervenne al princi­pato per espressa volontà del fra­tello maggiore, che, privo di eredi maschi, desidera va che titoli e beni fossero conservati da casa Caracciolo" (p. 119). E, poco so­pra, alle pagine 111 e 112, a propo­sito del nonno di Giovanni, Fran­cesco Marino II, si afferma che costui nel 1723, di ritorno dalla corte di Vienna, "ordinò che si celebrassero feste grandiose, ad­dirittura sbalorditive nei vari cen­tri dei suoi feudi, come a Lancusi, ove preferiva dimorare talora nel suo splendido palazzo; in Lancusi fece erigere un albero della cucca­gna, coronato da molti commesti­bili, e costruire delle fontane che davano getti di vino".
Ma chi ci dice che il palazzo di cui parla lo Scandone sia poi pro­prio quello di cui ci stiamo interes­sando? Altre notizie vengono a con­fermarci in questa ipotesi. La pri­ma la ricaviamo da un incartamento conservato presso l'archi­vio di Stato di Napoli, Sezione Militare, e risalente al 1856, nel quale, a proposito di una vertenza di confine sorta tra la direzione della fabbrica e il proprietario di un vicino caseggiato, si parla del­l'esistenza di “una saletta d'in­gresso secondario all' epoca che il fabbricato si apparteneva al Prin­cipe di Avellino i cui ruderi furo­no abbattuti nella esecuzione del­le generali riduzioni praticate allo stabilimento nel 1853". La secon­da dal Catasto del 1756 che nel volume relativo a Lancusi registra la presenza di un artigiano con la sua bottega in un "1oca1e terraneo" che dava sulla pubblica piazza e che era parte del palazzo di pro­prietà della stessa famiglia Caracciolo.
Confortati da questi dati inequivocabili, procediamo a ri­troso tra i vari fondi archivistici dove venivano registrati intesta­zione e passaggi di feudi da un possessore all’altro. E' possibile così risalire fino a Camillo Caracciolo che, già intestatario del feudo di Sanseverino dal 1596, il 7 marzo 1608 acquista per 11.100 ducati dal consigliere Scipione De Curte il "casale Lancusiorum cum eius castro fortellitiis, vaxallis, introitibus, iuribus, iurisditioni­bus". Il De Curte era forse un bor­ghese che, nell'incipiente crisi del XVII secolo, tentava qualche affa­re vendendo e comprando beni feudali, o, più probabilmente, già agiva per conto dei principi di Avellino, interessati a espandere i propri domini su terreni adatti alla produzione di grano. Infatti, solo quattro anni prima, il 7 aprile 1604, aveva acquistato da Ettore De Ruggerio, esponente della nobiltà salernitana, per 11.000 ducati, il medesimo “casale Lancusiorum cum eius castro ecc.", vale a dire col suo palazzo fortificato, le sue rendite e i connessi diritti feudali. Non furono facili i primi rapporti fra gli abitanti di Lancusi e i nuovi signori, intenzionati ad evocare a sé parte del demanio regio, fino ad allora destinato ad usi civici.
Presso la Regia Camera della Sommaria, gli "eletti" del casale, rap­presentati da Franciscus Antonius Clara (negli atti ufficiali si usava ancora il latino), citarono il princi­pe, chiedendo la restituzione del­le loro terre, ma furono costretti a riscattarle pagandone il prezzo ri­chiesto dal Caracciolo (1609). Era­no anni in cui la potenza del baronaggio meridionale non ave­va più freni. Il governo spagnolo, nel suo disperato bisogno di de­naro, si appoggiava al gruppo so­ciale più forte e compatto, ne am­pliava i poteri e ne veniva spesso fortemente ricattato.
Ma è tempo di riprendere il nostro cammino, per una brevis­sima sosta alle ultime tappe. I De Ruggiero sono regolarmente regi­strati come feudatari del casale per tutto il XVI secolo: la più anti­ca attestazione dell' esistenza del palazzo è del 1596, quando il "ca­stello delli Lancusi" passa in suc­cessione ereditaria da Geronimo al figlio Ettore; la più antica atte­stazione del casale come possesso feudale è invece del20 aprile 1515, allorchè viene registrato il suo passaggio da Felice de Ruggiero al figlio Giovanni.
Proviamo a trarre qualche con­clusione, sperando di essere riu­sciti a riportare le notizie in nostro possesso nel modo meno confuso possibile. Il casale di Lancusi ha una sua storia autonoma che ap­pare abbastanza lineare, 'a partire almeno dal 1500. Baronia separata dello Stato di Sanseverino, non ha seguito le sorti di quel feudo, al­meno fino al 1608: per tutto il XVI secolo, infatti, mentre Sanseverino, come è noto, passava, attraverso vicende burrascose, dai Sanseverino al Gonzaga, ai Carafa, ai Caracciolo, Lancusi restava tran­quillo feudo dei De Ruggiero. Acquistato, come si è visto, an­ch'esso da Camillo Caracciolo, conservava una sua identità giuri­dica autonoma pur nella nuova situazione. E il "Palazzo", dal qua­le siamo partiti per questo excursus, rivela la sua vera antica natura: si tratta, come del resto già lascia intuire la sua particolare struttura architettonica, di un palazzo signorile, costruito, alme­no nella sua forma primitiva, nel corso del XVI secolo. ,
A noi, cittadini di oggi, il com­pito di conservare un così illustre monumento-documento, salvan­dolo dall' irresponsabile abbando­no in cui versa per l'affievolirsi della memoria e per l'incuria di molti.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Per me che ci sono nato, e che ne ho vissuto anche sulla pelle la decadenza, palazzo Barra resta il simbolo di Lancusi.
Il posto che più amo e dove puntualmente ogni anno, quando ritorno ormai da forestiero, passo, mi fermo e rivedo il mio paese e le mie origini.
E rivedo anche i giorni in cui io e Diego Landi scarrozzavamo per le stradine di Napoli e ci intrufolavamo nei vari archivi storici, in cerca di notizie sul nostro paese.
In bocca al lupo professore, Fisciano ha bisogno di te!

diego landi ha detto...

Grazie!
Anche perché con le tue parole hai fatto rinascere davanti ai miei occhi i miei anni lontani,
perché mi hai fatto capire, da vero lancusano, benché "forestiero", che sono sulla strada giusta,
perché mi hai dato la carica per quello che dirò stasera all'inaugurazione della sede del comitato, al parcheggio di via tenente Nastri, nei locali dell'ex palestra.

Anonimo ha detto...

un mio avo nel 1785 circa ci lavorava come maestro piastrinaro...felice papa..riposa in pace..